In famiglia venivo e vengo spesso rimproverato per parlare troppo, per essere eccessivamente prolisso e bizantino nelle mie elucubrazioni mentali e verbali. Sono convinto che abbiano ragione, anche se non riesco a porre rimedio a questo mio difetto che mi aliena sicuramente qualche simpatia e che allontana, seppur simpaticamente, le persone da me.
Ma tant'è.
Parto effettivamente da lontano per cercare di portare avanti un concetto ed un ragionamento che mi stanno a cuore. Spero almeno di arrivare alla fine.
Quel grande storico francese del secolo scorso, Fernand Braudel, sosteneva, non ricordo in quale dei suoi numerosi saggi, che in qualche misura siamo tutti figli dell'Ellade. Volendo con ciò dimostrare una certa discendenza e dipendenza culturale in senso lato del mondo occidentale dalla Grecia, per quanto ha rappresentato, per quello che è stata. Penso alludesse, tra l'altro, al fatto che in Grecia è nata la democrazia, che la filosofia, l'arte, la storiografia, la poesia ed altre manifestazioni dell'animo dell'uomo sono germogliate in quella terra. Tutto quanto è venuto dopo è in parte figlio spirituale della Grecia, ha usato quei mattoni per costruirsi la propria casa, diversa dalla prima, ma con sostanziali elementi in comune.
Ricalcando però concetti già espressi da altri, mi parrebbe giusto e doveroso aggiungere che l'Occidente è sì un'emanazione della cultura e civiltà greche, ma che ha un altro pilastro su cui si regge e mi riferisco a Roma ed a quanto
ha rappresentato ed in parte ancora fiocamente rappresenta in merito allo sviluppo socio-culturale del mondo in cui viviamo. Il Cristianesimo, infine, elemento catalizzatore e terreno di coltura, mi pare sia il terzo pilastro, in mancanza del quale non sarebbe stato possibile percorrere un certo cammino.
Roma e la cultura romana hanno sempre sofferto di un complesso di inferiorità nei confronti della Grecia. Non c'era giovane di buona famiglia che non ritenesse doveroso completare la propria formazione culturale in Grecia, tutta la letteratura romana trae spunto dai lirici greci. Non vorrei qui dilungarmi in una inutile "guerra" tra Roma ed Atene, non vorrei alludere al pragmatismo romano, a quanto Roma ci ha lasciato in campo amministrativo, giuridico ed architettonico, alle differenze sostanziali tra le città greche chiuse in sé stesse e l'apertura del mondo romano.
Vorrei però difendere, per quanto in mio potere, il latino, il tanto bistrattato latino, odiato e temuto nelle scuole, considerato ormai lingua morta ed inutile. Ricordo i miei lontani anni del Liceo: anch'io non sfuggivo alla regola; avevo paura del latino, mi sembrava una cosa inutile, una perdita di tempo. Con il passare del tempo - tanto - ho ripreso in mano qualche vecchio testo scolastico ed ho iniziato un percorso che mi ha condotto ad una piacevole riconsiderazione di quanto pensavo. Piano piano ho riletto qualcosa di quegli autori che allora mi sembravano marziani, ho imparato ad apprezzarli e ad amarli.
Chi non conosce il mondo classico, ed in questo caso il mondo di Roma, ha una visione monca delle eterne problematiche della vita, dei meccanismi che regolano quell'entità assurdamente meravigliosa che è l'animo umano. Chi non ha letto la letteratura latina e la poesia latina, forse non lo sa, ma manca di qualcosa ed ha conseguentemente una visione più ristretta del mondo che lo circonda ed in cui vive. Mi piace ricordare un grande traduttore di autori latini, Luca Canali, il quale afferma in una sua opera che "...fra un ingegnere intelligente che ha letto Lucrezio e Petronio (e magari anche Proust e Joyce) e un ingegnere ugualmente intelligente che non li ha letti, costruirà migliori ponti e strade il primo."
Anche sul piano lessico-grammaticale il latino ha sempre subito veri attacchi. Leggendo i classici e proseguendo nel tempo, si notano già digressioni e notevoli licenze rispetto all'impianto grammticale latino, di per sé molto rigido ed equilibrato.
Il nostro stesso italiano che del latino è un'ovvia emanazione, lo ha logicamente ed inevitabilmente stravolto, come ci insegna una qualsiasi grammatica storica della nostra lingua. La tradizione popolare ha curiosamente "tradotto" in italiano preghiere e formule in maniera non aderente al testo ed al significato primari. "Agnus Dei, qui tollis peccata mundi" è stato ad esempio forzatamente trasformato in "Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo", travalicando il vero significato di tollis, che sarebbe poi porti sopra di te, ti fai carico.
Perché dobbiamo continuamente sentire mal pronunciato il nominativo neutro plurale dell'aggettivo medius, che sta nel mezzo, quando si vuole alludere ai mezzi di informazione quali la stampa scritta e parlata?
Perché iunior, comparativo di iuvenis, deve essere pronunciato e scritto all'inglese ed uguale sorte deve toccare a senior, semplice comparativo di senex?
Gli scambi ed i prestiti tra le varie lingue ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ma il latino è una lingua morta, non può più difendersi. Lasciamolo almeno dormire in pace, se non vogliamo o non possiamo apprezzarne e gustarne l'eleganza, la musicalità e la perfezione.
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