Sono ormai passati definitivamente i tempi in cui, una volta entrati in un ristorante di medio calibro ed effettuata la "comanda", ci si trovava di fronte alla più classica delle domande poste dal solerte cameriere di turno, circa la scelta del vino: "bianco o rosso?".
L'Italia enologica, l'antica Enotria, è finalmente uscita dal pantano nel quale vari condizionamenti storici, politici e soprattutto culturali l'avevano costretta. Sono stati fatti enormi passi avanti, qualitativamente, nei lavori in vigna, nelle nuove concezioni delle cantine, si è ricorsi a enologi che il mondo ci chiede e ci invidia, sono stati compiuti studi maniacali sulla composizione di un'etichetta, il marketing la fa da padrone nella lunga filiera che porta la bottiglia in tavola.
Non dobbiamo più litigare con i viticoltori francesi che a Sète assalirono le nostre navi cariche di robusti vini del nostro sud, destinati ad irrobustire quelli d'Oltralpe; il metanolo è un ricordo doloroso, ma lontano anche se i suoi effetti devastanti sulla nostra identità e dignità enoiche sono stati pari alle conseguenze negative che "Le mie prigioni" del Pellico hanno avuto sull'oppressione austriaca nei nostri territori.
Ci sono sì state delle "ricadute" quali i falsi di Sassicaia o i Brunelli del 2003 su cui si sono avute parecchie perplessità quanto ad integrità dell'uvaggio fissato dal Disciplinare, ma si è trattato fortunatamente di episodi che non hanno frenato la nostra crescita qualitativa e non hanno soprattutto riportato indietro di decenni il modo di ragionare e di agire dei nostri produttori.
Dato per scontato ed acquisito quanto sopra, tenendo sempre in debito e rigoroso conto il fatto che si tratta di opinioni del tutto personali e soggettive di un semplice appassionato, sono parzialmente d'accordo con chi sostiene la tesi che il percorso della bottiglia, una volta pronta e matura per la commercializzazione, ha anch'esso goduto ed usufruito dei netti miglioramenti di cui sopra. Dico parzialmente perché mi pare si possa ragionevolmente affermare che, entrare oggi nel classico medio ristorante italiano, in una qualsiasi località, in un giorno anonimo della settimana, pone chiunque di noi di fronte ad alcune considerazioni .
Il vino, lo si sa bene ed è universalmente accettato, ha dei "nemici" quali la temperatura non adeguata, gli odori, i rumori e le vibrazioni, l'esposizione ad una luce concentrata ed eccessiva, tanto per elencare i più classici e conosciuti. Ebbene, nella maggior parte dei nostri amati ristoranti, entrati in sala, ci si trova quasi sempre di fronte ad una bella famigliola di bottiglie poste su mensole, su basi di camini o comunque in altri luoghi che certamente non le dovrebbero ospitare. Tutte rigorosamente in posizione verticale a farsi compagnia come bei soldatini di piombo, pronte ad essere tolte dalla loro inidonea condizione dal cameriere che provvederà trionfalmente a portarle in tavola: uno sventurato brunello od un nobile barolo vengono così serviti a temperature assurde e perdono parte delle loro caratteristiche organolettiche, ove le stesse avessero avuto la ventura di conservarsi dopo mesi-almeno-di alloggio forzato.
Analoga sorte, seppure un tantino migliore subiscono i bianchi. Per evitare le giuste lamentele dei clienti sulle temperature spesso superiori a quelle di servizio, i vini vengono "abbattuti" violentemente, quando non posti in frigoriferi o luoghi similari che dovrebbero ovviare rapidamente al "danno". Più spesso li si porta a tavola alla temperatura in cui si trovano, li si affoga nel ghiaccio e sale dei cestelli e si invita il consumatore ad....aspettare. Le cantinette frigorifere sono poche, di bassa qualità e poco utilizzate, spesso poco capienti in rapporto al numero di etichette proposte, sì che la prima bottiglia scelta sarà a temperatura ideale, ma la seconda, per chi volesse fare un bis, risentirebbe sicuramente dei problemi di cui sopra.
Altra nota dolente riguarda la carta dei vini, croce e delizia per chi desideri mettere in pratica il cambiamento cui accennavo all'inizio di questa nota. La stessa lavora in sinergia, ove sia presente, con il sommelier o comunque con chi si occupa in maniera più specifica dell'elemento vino.
Bisogna riconoscere la validità di una figura come quella del sommelier, che dovrebbe intelligentemente e garbatamente guidarci in un mondo complesso ed articolato: la scelta o meno di un vino dipende da molti fattori, spesso legati fra di loro, non ultimo da quello economico. Trovo invece, purtroppo, che ci si trovi spesso ad avere a che fare con personaggi un tantino altezzosi, che tendano a schiacciarci con le loro conoscenze specifiche e che ci mettano in difficoltà nella scelta, spesso condizionata dalla fretta e dall'imbarazzo.
Per quanto mi riguarda, quando ne vedo la necessità, applico la tecnica napoleonica che voleva essere l'attacco la migliore forma di difesa, tiro fuori facilmente un po' della mia innata cattiveria ed inizio a fare notare gli inevitabili errori presenti in ogni carta di vini. Quasi tutte contengono una buona dose di accenti sbagliati, soprattutto per i vini esteri, quasi tutte hanno qualche trascrizione inesatta relativa al vitigno che compone il vino o al vino stesso. Spesso sono presenti vini di grande pregio, ma la loro presenza è solo virtuale: non appena li si nomina risultano stranamente esauriti il giorno prima. Per non parlare delle annate, uno degli elementi fondanti delle carte: è raro trovare l'annata richiesta quando ne siano presenti più di una.
Se poi voglio essere più cattivo del solito, mi piace entrare in meandri pericolosi, ovviamente più per me che per il sommelier, con la particolarità che forse riesco a non fare trapelare la mia ignoranza o la mia conoscenza superficiale su quell'argomento specifico.
Ricordo di avere fatto un figurone chiedendo lumi sulle differenze strutturali fra un carmenère cileno ed il più nostrano "Carmenero" di Ca' del Bosco. Perché le querce europee devono essere abbattute a colpi di scure a differenza delle querce bianche americane, che devono invece essere segate? Perché le ostriche che i francesi chiamano creuses vogliono un agrumato e fresco muscadet de la Loire(Melon de Bourgogne), mentre per le più nobili belon bisognerà ricorrere al più classico degli abbinamenti e cioè ad uno champagne, meglio se ad un Blanc de Blancs? Perché la povera e dimenticata Tintilia, unico vitigno autoctono del Molise, è stata per troppo tempo imparentato erroneamente con il Bovale sardo?
La verità, a mio parere, è che il vino è ormai diventato un elemento fondamentale per un ristorante che voglia essere tale; non è più un semplice accessorio relegato in secondo piano rispetto al cibo e la carta dei vini, il modo e la maniera di servirli e di offrirli alla clientela - sempre più attenta - richiedono un'attenzione ed una accortezza che non è di tutti.
Oramai sono in tanti, sempre più numerosi, coloro che scelgono un ristorante invece di un altro anche per la presenza o meno di quelle che ritengo essere scelte ineludibili e non più procrastinabili a favore del nostro amico Allora sì, bianco o rosso non sarà più - ragionevolmente - determinante.
beh, sarò partigiana, ma trovo che è un piacere leggerti! chicchi
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