giovedì 13 dicembre 2012

Storia e Geografia

Il grande storico francese del secolo scorso, Fernand Braudel, era un tenace sostenitore della teoria secondo la quale la storia è spesso figlia della geografia, delle condizioni climatiche che caratterizzano in maniera permanente alcune regioni del mondo. Sono anch'io convinto, in linea generale, della validità di questa tesi.
Il "generale inverno" ha fermato per due volte nella spazio di poco più di un secolo, due potenze nemiche che tentavano di invadere la Russia attraverso le sue sconfinate pianure, con risvolti e conseguenze inimmaginabili per il futuro dell'Europa e forse del mondo.
La guera russo-giapponese del 1905, conclusasi con la famosa battaglia di Tsushima e con la sconfitta della flotta russa reduce da una meravigliosa ed assurdamente romantica circumnavigazione dell'Africa, ebbe tra le sue cause scatenanti la necessità per la Russia di avere un porto, alle sue estremità orientali, alternativo a Vladivostok, inutilizzabile per parte dell'anno a causa del gelo.
Nel 1453 Costantinopoli cadde in mano ai Turchi ed ebbe fine il malandato Impero romano d'Oriente. Il fatto di per sé non avrebbe un peso eccezionale se non fosse che, con la caduta di Costantinopoli, si chiudeva la via delle spezie tracciata da Marco Polo, venivano ad essere interrotti i floridi commerci con l'Oriente. Venezia e Genova, le due Repubbliche marinare che avevano intessuto rapporti considerevoli con quelle lontane e favoleggiate regioni, si trovarono in forti difficoltà economiche. Genova soprattutto, città marinara ma anche  a forte vocazione mercantile, che svolgeva commerci qualitativamente pregiati con l'Oriente, per mezzo delle proprie navi che navigavano il Mar Nero sino alle estreme sponde orientali, per poi affidarsi alle carovane dei mercanti, Genova-dicevo-subì un contraccolpo notevole. La città nella quale era nata la prima banca al mondo, il Banco di San Giorgio, la città che fungeva da ponte commerciale tra il lontano Oriente e tutta l'Europa centro-settentrionale con le proprie complesse ramificazioni, si trovava ora a dovere interrompere tutto quanto aveva costruito nei decenni precedenti, tutto quanto le aveva dato prosperità, forza e ricchezza.
Fu a seguito quindi di un  puro impedimento fisico-geografico, dell'impossibilità di trovare una via alternativa che permettesse l'interscambio con l'Oriente che il Mediterraneo nel suo complesso e nella sua accezione più vasta si vide "costretto" a cercare un percorso diverso per non perdere la propria supremazia, la propria ricchezza...per non perdere la propria identità.
L'italianissimo Colombo si trovò al momento giusto nel posto sbagliato e, ragionevolmente certo della sfericità del globo,  si convinse e convinse Isabella di Spagna ed il recalcitrante Ferdinando ad intraprendere un viaggio che lo avrebbe portato dove lo ha portato e....ad essere probabilmente sepolto alcuni metri sotto una sala da biliardo di un bar di Valladolid.  Lo fecero forse viaggiare più da morto che da vivo!
Ma questa è un'altra storia e mi accorgo di divagare.
Intendevo solamente dare il mio pieno e modesto appoggio alla teoria di Braudel. Se non fosse stato per le spezie forse l'America sarebbe rimasta ancora per un po' a sonnecchiare nel suo  isolamento forzato, gli spagnoli ed i portoghesi non se la sarebbero "divisa" a Tordesillas, nel nome di Cristo non si sarebbero ammazzati tanti inermi e un po' di oro, più o meno oro, sarebbe rimasto al proprio posto.
Molto più privatamente, se non fosse stato per il vecchio Colombo, l'America del Sud non sarebbe entrata così prepotentemente nella mia vita.

Ci sono, a mio parere, varie tipologie di sudamericani, sul piano antropologico, sociologico e culturale.
Da un lato abbiamo gli argentini che sono e si sentono i primi della classe, forse anche per la consistente iniezione di sangue europeo a seguito delle immigrazioni dei primi anni del '900. Dal lato opposto abbiamo le popolazioni andine dell'Ecuador, della Bolivia, del Perù. Si sono dovute adattare morfologicamente alle altezze assurde alle quali vivono: sono generalmente non molto alti, forse per aiutare il cuore a pompare il sangue a distanze minori! Sono ragionevolmente le più "indigene" e le più lontane dall'Europa, nel pieno rispetto ovviamente delle loro identità culturali.
C'è poi una popolazione, a me sino a pochi anni addietro, sconosciuta ed ora a me cara, per certi aspetti.
La Colombia ed i colombiani. Mi pare si possano auto-collocare in una posizione intermedia tra le due cui accennavo sopra e che sfuggano pertanto ad una definizione precisa. La Colombia potrebbe per certi versi essere accostata all'Italia del dopoguerra, della fine degli anni cinquanta, degli anni del boom economico, con la meravigliosa voglia di vivere di allora, con quel modo di fare un po' naif che ci ha aiutato a risorgere,con quel rispetto delle regole che ci ha restituito la nostra dignità. La Colombia di oggi è un Paese nel quale si fanno i biglietti sugli autobus e nel quale ci si alza per fare sedere gli anziani, un Paese nel quale non ci si meraviglia di certi comportamenti che da noi inducono ad un sorriso di compatimento.
Non è certo un Paradiso, vive sotto l'ombrello americano da cui ha mediato pregi e difetti, ha un Pil in crescita, una buona inflazione annua, un brutto biglietto da visita relativamente al suo passato-presente in merito alla sua produzione e commercializzazione della famigerata polvere bianca. Insomma, partendo da dove è partita, non può e non deve fare altro che crescere.

Certo che è un altro mondo. Ma anche qui divago e torno su argomenti già trattati.
Mi preme sottolineare invece un fatto, del tutto normale, che accomuna la Colombia a tanti altri Paesi. Bogotà è geograficamente a quattro gradi  di latitudine nord rispetto all'equatore; il che fa sì che in Colombia non ci siano le stagioni o perlomeno che non ci siano per come lo intendiamo alle nostre latitudini. Pur essendo la capitale posizionata a 2.600 metri di altezza sulla cordigliera orientale, il clima è mite, direi primaverile, con escursioni termiche giornaliere contenute, ma minime su base annua.
A prima vista ed in occasione della prima visita in Colombia, ritenevo, come tanti, che la mancanza di stagioni fosse un enorme vantaggio sotto tutti i punti di vista ed effettivamente i vantaggi sul piano materiale sono molteplici ed innegabili, almeno per noi mediterranei. Con il passare del tempo e ragionandoci su in maniera meno superficiale mi sono però accorto che sbagliavo ed ho fatto e tratto le mie considerazioni in merito, sempre ovviamente non prescindendo dalle mie radici culturali e dai miei condizionamenti.
Mi rifaccio ad elementi di buon senso comune, direi casareccio. La terra è rotonda, il cerchio di Giotto è segno di perfezione, tutto quanto ci circonda e regola la nostra vita, a tutti i livelli, obbedisce a leggi che hanno nella circolarità e ripetitività la loro base. Ogni cosa ha un principio, un suo ciclo vitale più o meno lungo, ed una fine, sempre nel rispetto di regole circolari, eterne ed immutabili. Ad ogni tramonto seguirà un'alba illuminata da un sole sempre diverso e sempre uguale, ad ogni estate con i suoi eccessi termici succederà un inverno che ce la farà rimpiangere, ma che svolgerà la propria funzione sia sul piano meteorologico che nei confronti ed a favore del nostro equilibrio psichico. Alle nostre latitudini siamo abituati al continuo cambiamento della natura che ci circonda, cambiamento che ha sicuramente un effetto benefico su di noi anche perché ci accompagna nel nostro cammino terreno e ci aiuta a capire qualcosa di più in merito al mistero ed al senso della vita. Non mi pare si debba scomodare la filosofia o l'antropologia per arrivare a certe considerazioni che ritengo essere ovvie e valide più o meno per tutti noi.
Ebbene, in Colombia non ci sono le stagioni. Manca, sicuramente a me, ma non penso solo a me, tutto quanto ho tentato di....dire, di trasmettere. Come si può vivere in un posto in cui gli alberi sono sempre e tutti verdi, in cui il sole sorge e tramonta sempre alla stessa ora, in cui la temperatura è sempre la stessa, in cui tutto è sempre...sempre? Come può tutto ciò non avere influssi negativi sull'animo umano che ha bisogno del brutto per apprezzare il bello, del buio per godere della luce, di una fine per sperare in un nuovo principio?
Mah! Eppure ci sono milioni di colombiani che vivono felici e contenti e probabilmente non pensano mai alla loro condizione e non si arrovellano in elucubrazioni cervellotiche e sterili.

Certo è, per tornare sulla terra, che la mancanza di stagioni porta da un danno... serio ed incontrovertibile: la mancanza della coltivazione della vite e quindi la mancanza del vino. La vitis vinifera, nelle sue espressioni più plebee quali la bonarda o il lambrusco ed in quelle più nobili ed elevate quali lo chardonnay o il pinot, ha bisogno e necessità di affrontare e di sconfiggere le avversità meteorologiche connesse con le stagioni, per cui in Colombia non c'è traccia di questa vecchia e meravigliosa pianta.
Ciò non vuol dire che conseguentemente in Colombia non si beva vino. Certamente non è questa la bevanda principale con la quale si pasteggia, ma i vini argentini e cileni suppliscono egregiamente(? )alla mancanza di prodotti autoctoni. Quello che ritengo manchi al colombiano medio è la cultura del vino, sono i duemila anni che accompagnano noi italiani nella nostra storia, permeata e bagnata a tutti i livelli dal vino, dal Falerno di Orazio sino al Chianti del barone Ricasoli, dal vino debole e poco longevo del medioevo, al Brunello di alcuni storici produttori, che ci impone di misurarne la longevità in decadi.
Diciamo comunque la verità: i colombiani non conoscono il vino e quindi... non sanno bere. Mi è capitato spesso,  anche in ristoranti di nome e di tradizione, di vedere in bella mostra sui tavoli degli assurdi bicchieroni colmi di succhi di frutta con cui si accompagnavano robusti piatti di carne. Saranno perfetti sul piano salutistico e dietetico, ma sono realmente improponibili e mi sono sempre chiesto come riescano a berli in gioia e letizia. Penso non sia nel loro DNA stabilire un sano e corretto rapporto con il vino, con i giusti abbinamenti e con la tempistica che il buon bere richiede a chi si voglia accostare a quel mondo. Capita sovente, al ristorante, che il gentile cameriere di turno si affretti a chiedere cosa si voglia bere, prima ancora che i commensali abbiano avuto il tempo di consultare il menu. Se mi sembrano esagerate certe nostre esasperazioni in fatto di abbinamenti, seguendo a volte la smania di protagonismo del sommelier, mi pare altrettanto sbagliato il non volere affatto prendere in considerazione, seppure velocemente, quali possano essere le scelte in merito alla bevanda con cui pasteggiare e sul quando, come berla e perché.
Un capitolo a parte meriterebbero i prezzi dei vini di qualità che, ripeto, esistono e tutto quanto riguarda il percorso che viene fatto fare alla bottiglia sino al tavolo ed il suo conseguente trattamento da parte del cameriere che dà l'idea di maneggiare un qualcosa di estraneo a sé ed al suo quotidiano. Si capisce da tanti piccoli particolari che il rapporto con l'elemento vino è un qualcosa di artefatto, di forzoso, un qualcosa che lo costringe ad entrare in un terreno irto di incognite e di difficoltà. Apparirò pedante e noioso, ma mi pare normale quasi pretendere che determinate bottiglie-almeno quelle- subiscano una sorte adeguata al loro prezzo ed al rango ed al valore del vino in esse contenuto.
Uno sguardo all'interno delle poche enoteche ed una scorsa negli spazi dedicati al vino nei grandi supermercati, mi pare confermi l'andamento cui accennavo. Gli scaffali sono stracolmi per la maggior parte di vini cileni ed argentini, diligentemente divisi per tipologia e prezzo, in questo rispondendo ad una forte azione protezionistica che connota i mercati sudamericani. D'altra parte in questi due paesi troviamo alcuni giganteschi produttori quali la cilena Concha y Toro e l'argentina Penaflor che viaggiano intorno ai 150 milioni di bottiglie annue e che hanno quindi una necessità fisiologica di vendere i loro prodotti nell'immenso mercato potenziale del Sudamerica, prima di affidarsi ad una difficile e problematica escursione in terra europea. Tra le varie linee che le aziende propongono, si trovano vini di livello, venduti a prezzi correnti e corretti rapportati alla qualità.  Quanto ai vitigni, mi pare di poter dire che sono il carmenère ed il malbec a fare la parte del leone. Il vecchio carmenère, partito dall'Albania in epoca romana, dopo duemila anni di travagliata storia ampelografica, valica l'oceano insieme al classico bordolese malbec e si conquista nuova vita in Sudamerica, dopo decenni di oblio e di scarso utilizzo in Europa.  Non mancano infine alcuni "classici" provenienti dalla Spagna, la madrepatria per eccellenza, amata ed odiata. Niente di particolare, rispetto alle potenzialità iberiche, ma anche la Spagna risente probabilmente degli sbarramenti doganali, per cui i vini di livello superiore non vengono trattati in quanto avrebbero dei prezzi impossibili, tanto che sarebbero accessibili forse solamente a chi troverebbe più conveniente acquistarli direttamente in loco, in occasione del classico viaggio a Madrid.
Povera la nostra Italia enologica!  Il pochissimo vino presente è rappresentato da prodotti da supermercato di seconda categoria.  Vi è un' ignoranza pressoché totale rispetto rispetto alla nostra realtà enologica (nel senso di assoluta e totale non conoscenza di quello che accade nel Paese primo produttore di vino al mondo, nel Paese che ha sopravanzato la Francia quanto a volumi di vendita negli Stati Uniti). Probabilmente la responsabilità è da ricercare anche nei nostri produttori che non hanno sufficienti interessi ad essere realmente presenti su quel mercato. Comunque la situazione è desolante.
Non mi rimane altro da dire che nella maggior parte delle case colombiane è presente un robusto frullatore il quale viene utilizzato regolarmente per trasformare in frullati le enormi e variegate qualità di frutta che il mercato offre tutto l'anno. Queste bevande, insieme alla loro gradevole e diffusissima birra, sono i più forti antagonisti del vino e ne contrastano amabilmente la diffusione quotidiana. Basti considerare che il mio piatto preferito, con la straordinaria carne colombiana, è fortemente debitore all'impiego della birra.
Non si può avere tutto nella vita, come dicevano gli anziani.